martedì 1 novembre 2016

"IO OMOSESSUALE, TRA LE SENTINELLE IN PIEDI": QUANDO UN ARTICOLO TI CAMBIA LA VITA


Il 23 Ottobre 2014, in seguito alla prima veglia nazionale delle Sentinelle in Piedi (un movimento pacifico nato contro la legge sull'Omofobia che maschera dietro a un bisogno di giustizia, la proibizione per chiunque di raccontare storie controcorrente sull'omosessualità), scrissi un articolo per la rivista Tempi, in forma anonima, al quale mi sarei riagganciato il 13 Maggio successivo, per "uscire allo scoperto" e rendere la mia testimonianza pubblica.

Il desiderio di raccontare quell'esperienza, intensa quanto decisiva, nacque dal fatto che alla fine della veglia fui intervistato da una tivù online, che mi chiese perché mi fossi commosso nell'ascoltare dal portavoce delle sentinelle le parole scritte da un altro omosessuale francese sceso in campo in difesa della famiglia.

Io non avevo mai parlato davanti a una telecamera, insegnavo religione alle medie da un anno e Marta doveva uscire di lì a un paio di settimane con Mondadori. Avevo tutto da perdere e non pensavo che mi venisse chiesta una testimonianza già la prima volta che partecipavo a una simile manifestazione. Tuttavia capii che se fossi scappato in quel momento, sarei scappato per sempre. Siamo infatti chiamati a dare ragione di ciò in cui crediamo ogni volta che ce ne viene data la possibilità, perché altri un giorno non debbano pagare il prezzo del nostro silenzio.

Così senza sapere chi avessi davanti, aprii il mio cuore al giornalista: i tre minuti più intensi della mia vita. Lui se ne andò senza parole, e io rimasi credendo che avrei perso tutto di lì a poco .

La sera, quando andai a controllare il servizio online, scoprii che nulla di quanto avevo detto era stato riportato. Tutto il servizio era stato costruito per dare l'impressione che le Sentinelle fossero un gruppo di fanatici omofobi e fuori controllo (purtroppo in una piazza aperta, l'idiota c'è sempre, e di solito è quello che finisce col parlare davanti alla telecamera!).

Ricordo la sensazione di violenza che provai, come se qualcuno mi avesse tappato la bocca. Intendiamoci, non che fossi stupito. Ho studiato comunicazione, so bene come i giornalisti possano costruire un servizio in modo da fingere imparzialità e far però passare l'idea che interessa loro, selezionando i testimonial cui danno la parola. Nel mio caso era evidente che io non ero utile allo scopo.

Quando però questo gioco lo fanno con te, tutto cambia.

Non si trattava più di sapere che "i giornalisti omettono le informazioni in modo fazioso". Si trattava di me e di quel giornalista: quel fratello cui io avevo consegnato la mia storia, e i cui occhi lucidi tradivano la sua consapevolezza che quanto stava ascoltando era vero e importante.

Mi misi al computer e scrissi  con foga quello che sarebbe stato il primo articolo di una rivoluzione, prima di tutto personale. Le parole vennero di getto, veloci, come mai più mi è capitato. Sapevo che niente sarebbe stato più lo stesso: quello era il momento in cui prendevo posizione e sceglievo da che parte stare. Quello era il momento di  diventare uomo e smettere di vivere nella paura.

Di seguito, quello che scrissi.



IO OMOSESSUALE TRA LE SENTINELLE IN PIEDI.
SONO QUI ANCHE PER CHI STA DI LA'.

Arrivo che la piazza è gremita.
Da lontano si sentono già le voci. Grida. Insulti.
Mentre mi avvicino e il cuore inizia a battere avverto qualche parola:

"Maria, Maria, lo aveva già capito,
con un dito
l’orgasmo è garantito!"

È la prima volta che sento qualcosa del genere. E non posso fare a meno di chiedermi chi sia Maria.
Me lo chiedo, perché non voglio credere che stiano parlando di Colei che ha dato il Figlio che amo.
Me lo chiedo, perché mi fa troppo male la verità.
Sono al semaforo. La piazza di là. Vedo la gente in fila, sereni. Circondati da un branco di cani arrabbiati.
No, non cani. Fratelli. Eppure, sembrano cani.
Quando hanno smesso di guardarsi come persone? Quando hanno scelto di rinunciare a sé stessi per il branco?
Dio sa se questi fratelli non mi lacerano il cuore.

Ho paura.
Posso ancora andarmene. Posso voltare le spalle a tutto questo.
Rifugiarmi nel mio anonimato e dimenticare.
So che, se attraverso questo incrocio, la mia vita sarà diversa. E ciò che c’era prima, non ci sarà più.

E poi lo faccio. Senza nemmeno sapere come, mi ritrovo di là, fra i manifestanti.
Prendo posto, apro lo zaino, tiro fuori un libro e leggo.
Le mani mi tremano, avverto il brivido di chi si è appena gettato nel vuoto.
Le voci nei megafoni continuano forti.

"La famiglia tradizionale,
non è naturale,
ma patriarcale".

Sorrido.
Sì, lo è.
Patriarcale.
La famiglia si affida a un padre e poggia su una madre.
Questo è ciò che siamo chiamati a vivere, questo dobbiamo diventare: padri e madri.
Questo ci è stato portato via.
Non si tratta di generare figli o meno, di eccitarsi per una persona del proprio o di un altro sesso, né di sapere se il matrimonio sarà o meno la propria vocazione.
Si tratta di alzare lo sguardo dal proprio dolore, e ringraziare Dio per esso. Perché solo accogliendo il proprio dolore, possiamo riconoscere quello degli altri. E aiutarli.
Ed è ciò che faccio. Alzo lo sguardo, vedo il corteo che ci stringe gridando e mi commuovo.

Io, omosessuale, cattolico e innamorato di questo Dio.
Io con un Padre cui affidarmi, e una Madre Chiesa che mi ama.
Io che per anni non ho saputo dove stare, oggi sono qui, fermo, in mezzo a una piazza, che lotto con la sola forza della mia presenza. Con la mia paura, che è ancora qui, dentro di me, ma alla quale ho scelto da tempo di non dare più potere.
Il mio corpo, più volte usato per fare e per farmi del male, per abusare di me stesso, per chiedere disperatamente amore, oggi per il solo fatto di stare in piedi, dice più di quanto non abbia mai detto.

Dice dove sto.
Io sono qui e non sono di là.
E ciò che più mi sconvolge, io sono qui, anche per chi sta di là.
Questo luogo, questa presenza fisica, è il segno della mia presenza del mondo, è il modo in cui siamo chiamati a diventare uomini e donne di domani. Padri e madri. Anche per quei figli che non capiscono, che rinnegano, che ci odiano.
Che si odiano.
Perché i figli non si possono scegliere, ma solo amare.
Così ama Dio.
Così può amare l’Uomo.
Ed è proprio questo che mi sento adesso. Un Uomo.

Dopo aver creduto per tanto tempo che fosse il mio orientamento sessuale a dire chi sono, dopo essermi definito per anni omosessuale, ritenendomi una vittima innocente della vita, oggi per la prima volta, io mi sento un uomo, grato a quella stessa vita, da cui credevo di essere rifiutato.
Oggi do voce alla mia verità.
Sono una Sentinella in Piedi che guarda a un mondo nuovo.
Sono solo un uomo.
E questa è la mia storia.

Giorgio

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