mercoledì 2 novembre 2016

"CRESCI BENE CHE RIPASSO". COME VINCERE LA CRESCITA E VIVERE FELICI Da LinC Magazine Set-Ott-Nov 2014

L'uscita online tre anni fa di "Io sto con Marta!" e la successiva scalata di Amazon, ha innescato un circolo virtuoso di opportunità e collaborazioni che hanno permesso a Marta e ad altre storie di Speranza di circolare liberamente nella rete e non solo.

Tra le tante, la più importante è stata di certo quella con Manpower Group, un'agenzia interinale che  a livello globale si occupa da decenni di unire le persone giuste al lavoro giusto.

Per i temi trattati, l'affinità tra Marta e questa azienda fu immediata e istintiva, nonché decisamente proficua per entrambi. Infatti, prima ancora che Marta diventasse un libro Mondadori, Manpower mi permise di organizzare la mia prima presentazione come autore selfpublisher nella loro sede centrale a Milano, adottandomi da quel momento per due anni.

Con loro andai al salone del Libro di Torino e la prenotazione in anteprima di 300 copie da regalare ai loro maggiori clienti per Natale, spinse Mondadori ad anticipare l'uscita del romanzo di due mesi. Ciò di cui però vado maggiormente fiero fu la rubrica di Story Teller "Io sto con Giorgio!" che Manpower mi affidò sul proprio magazine  trimestrale LinC (Lavori in Corso) in allegato con il Corriere, e del quale pubblico qui di seguito il primo articolo: uno spazio dal quale raccontare storie vere controcorrente, in un mondo del lavoro che non rispetta più la persona umana.

Una cosa di cui vado fiero è sempre stata la capacità di dimostrarmi riconoscente per il bene che mi è stato fatto, persino quando mi è capitato di finire in conflitto con chi si era fatto strumento di quel bene (non è questo il caso, ovviamente). Sono convinto infatti che il Bene vada sempre raccontato, perché questo ricorda a tutti noi che chiunque è capace di compierlo, anche quando nella vita ha commesso azione che buone non erano.

Ringrazio perciò questa azienda cui devo molto, nella quale ho potuto riscontrare una grande libertà di pensiero e un'attenzione alle persone che raramente ho trovato altrove. Almeno nella mia esperienza. Per ciò che ho visto, Manpower sa che il suo lavoro non è solo collegare una "risorsa" a una professione, ma dare a un uomo o a una donna la possibilità di compiere la sua storia personale, anche attraverso ciò che le dà da vivere.

Qui di seguito pubblico il primo di sei articoli che per un anno e mezzo hanno dato una voce a molti che quella voce la stavano chiedendo e la chiedono tuttora: mostrando che vivere in maniera diversa sì può, anche quando tutti sembrano dirti il contrario.

E ora l'articolo...


CRESCI BENE CHE RIPASSO

Quando mi è stato proposto di seguire una rubrica sul tema del lavoro, ho subito pensato: scusate, perché io? Meglio un economista, un giuslavorista, un sindacalista, no?

No. Meglio io, pare.

Intendiamoci, non perché io abbia degli studi in merito, ma perché con tutti i lavori che ho fatto in questi anni, cercando di capire il sistema e giocare alle sue regole, ho un’esperienza sul campo che forse, qualcuno ha ritenuto, è migliore di molti libri e paroloni. Perciò quello che vorrei portare qui oggi e nei prossimi numeri è la vita della gente che incontro quotidianamente e che, come tutti al momento, si arrabatta per capirci qualcosa.

Ma veniamo alla storia di oggi.

Ero in una nota gelateria di Milano e mi è capitato per caso (sì, fa per dire) di ascoltare la conversazione tra un giovane cliente e degli altrettanto giovani addetti al bancone. Il ragazzo, in gamba, proprietario di tre locali di successo nel Pavese, voleva sapere se la gelateria fosse di proprietà o in franchising e, nel qual caso, come facesse il proprietario del marchio a controllare tutti i suoi negozi senza impazzire. Infatti, non contento degli ingenti carichi di stress cui era sottoposto e che lo stavano sfinendo (per sua stessa ammissione), il tipo voleva aprirsi un quarto locale con annessa gelateria, per la cui gestione non avrebbe disdegnato qualche aiuto soprannaturale.

Non ho più potuto stare zitto.

Il punto è che non riuscivo davvero a capire di cosa sentisse il bisogno quel ragazzo. Qual era il movente che lo spingeva a usare la propria libertà di imprenditore autonomo, per imprigionarsi come il peggiore dei dipendenti sfruttati?

Gliel’ho chiesto. E lui, il gelato già semisciolto in mano, ha battuto le palpebre un paio di volte per poi rispondermi: “Se non mi ingrandisco io, lo farà qualcun altro”.

Ecco la risposta.

Bisogna ingrandirsi, prendere tutto lo spazio, mangiare ciò che si può. Anche ciò di cui non si ha bisogno, anche ciò di cui magari potrebbe avere bisogno un altro.

In una parola: crescere.

Crescere a qualsiasi costo. Se non cresci, non sei okay.

Sia chiaro, io non sono uno che insegue sogni utopistici in cui ognuno si coltiva il suo orto e tutti viviamo pascolando caprette e lavandoci nei torrenti. L’economia serve, e serve chi abbia grandi sogni e progetti. Il punto è: a quali regole crescere, e soprattutto per cosa?

Ho conosciuto store-manager che per l’ossessione della crescita cui li sottoponeva la loro azienda si sono beccati un esaurimento nervoso, portandosi dietro la moglie, i figli e i loro dipendenti. Chi ha potuto godere di quella crescita?

Allora, senza darmi per vinto ho deciso di parlare al ragazzo di Oscar.

C’è un noto ristorante di Milano, Da Oscar (se per il “peccatore” val bene l’anonimato, per l’uomo virtuoso il nome è d’obbligo) per il quale le regole vigenti del mercato mondiale sembrano non avere alcun valore. Da almeno trent’anni, infatti, l’omonimo proprietario viaggia sulla cresta dell’onda con un posticino di sì e no cinquanta metri quadri, che non ha mai avuto bisogno, né forse desiderio, di ingrandire. Per mangiare da lui bisogna sempre prenotare, ed è uno dei pochi locali a Milano che si concede il lusso di chiudere di domenica. Si gode la sua clientela, Oscar: esce dalla cucina, scambia battute, vive di ciò che ha e che probabilmente è proprio ciò sognava di avere quando ha scelto di darsi alla ristorazione. Senza pretendere di più, senza accontentarsi di meno.

Oscar non si preoccupa di rubare clienti alla concorrenza, perché sa che per vincere la concorrenza basta essere onesti, non tradire chi si affida ai propri servizi. Soprattutto sa che, nel mercato, di clienti ce n’è per tutti.

Non vuole avere di più, Oscar. Vuole avere il Meglio.

Così eccoci al punto di partenza. Il ragazzo finisce il suo gelato in silenzio, mi stringe la mano ringraziandomi per la chiacchierata “illuminante” (parole sue, giuro!) e si avvia per la strada con fare incerto.

Non so se alla fine aprirà o meno quel quarto locale, ma almeno so che si porrà il problema di farlo. E in un’epoca in cui, in nome della fretta, subappaltiamo fin troppo spesso le nostre decisioni agli altri, l’idea che qualcuno si fermi a pensare se quelle decisioni corrispondano o meno ai propri desideri reali, sarebbe già un grande risultato.

A tutti, chi ce l’ha e chi ancora no, buon lavoro.








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